venerdì 30 ottobre 2015

Tra le nuvole

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Equilibrio.

Rimanere in equilibrio è importante, ci impedisce di cadere, di farci male.
Ognuno di noi ha un suo personale equilibrio, è una banalità dirlo - me ne rendo conto - ma ciò non ne diminuisce l'importanza. C'è chi ama viaggiare, chi s'illumina osservando lo stesso angolo di città la mattina al bar mentre fa colazione, chi ritrova se stesso guardando il suo monitor in ufficio.

Ok, io amo viaggiare.
In effetti SO che in qualche modo questo significa che non amo particolarmente i legami, che ho una soglia della noia molto bassa, forse che sono un pò superficiale. In effetti non è che queste considerazioni mi interessino più di tanto: adoro vivere realtà differenti minuto dopo minuto, mi piace scoprire cose posti o persone sempre nuovi; viaggiare è in un certo senso prendere le redini della propria vita, guidarsi da qualche parte. A me piace guidare per il gusto di guidare, la meta m'interessa il giusto. Mi piace fare esperienza sullo stesso tracciato perfezionandolo fino al poterlo fare ad occhi chiusi, ma quando/appena possibile mi piace cambiarlo: inventare qualcosa di nuovo, togliermi le ragnatele di dosso e partire verso l'ignoto. Rimettermi in gioco. Rimettermi in discussione.

Una volta scrissi che "sono un motociclista, se mi fermo cado": è una specie di metafora ovviamente, esiste il cavalletto; ma il concetto, l'idea è che su due ruote l'equilibrio è costantemente instabile, l'equilibrio è garantito solo dal continuo muoversi. Va bene, è un concetto facilmente discutibile ma non mi interessa: a me piace come immagine, vedetela solo come tale.

Di recente ho avuto occasione di vedere un film molto carino, a suo modo una delicata poesia che per almeno tre ragioni tocca le mie corde in profondità e mi fa fermare un attimo (metto il cavalletto...) a discutere, a ragionare, a pensare. Il film si chiama "Tra le nuvole" (titolo originale "Up in the air"), è del 2010 e tra gli interpreti ci sono due attori che amo molto. Il protagonista indossa alcuni "abiti mentali" che conosco perfettamente, il contesto l'ho vissuto in prima persona pochissimo tempo fa. Si parla della crisi negli States, di tagliatori di teste (in senso lavorativo), di vite costruite su certezze che da un giorno all'altro svaniscono, della capacità ma anche della difficoltà di cambiare rotta dopo decenni di abitudini. La comfort zone che all'improvviso si rivela per quella gran fregatura che è. Mai adagiarsi sugli allori, rimanere sempre svegli e attenti perché il domani è sempre incerto. Tutto questo nuotando controcorrente, andando contro la naturale propensione dell'uomo a costruire la sua caverna/trovare una madre per i suoi figli/portare a casa le bistecche. Di brontosauro.

Qual'è alla fine la scelta giusta? Qual'è la cosa giusta da fare?
Non lo so. Se lo sapessi non sarei qui a scrivere questi appunti, la starei facendo.
Ho avuto la fortuna di vivere in almeno quattro "esperienze" fino ad oggi tanto la stabilità - affettiva, lavorativa, sociale - quanto l'improvviso radicale cambiamento. Il cambiamento non è nostro nemico, ci mantiene vivi; certo, è scomodo: si fa una fatica enorme ad accettarlo, a cercare le ragioni della sua ineluttabilità e le contromisure difensive. Alla fine però, se si riesce a sopravvivere, è gratificante guardarsi alle spalle e dirsi: ce l'ho fatta, cazzo.


Ho perso il filo.
Non ricordo più qual'era il messaggio che volevo trasmettere scrivendo questo post sul mio blog.
Ma non importa, in fin dei conti non è necessario voler per forza trasmettere un messaggio :)